Dal 1400 a oggi 1

Anche per i secoli XV, XVI e XVII i documenti sono avari di notizie sul nostro paese.

In un documento del 1416 sono contenute le disposizioni per il pagamento dei diritti feudali da parte dei Sestesi e degli altri vassalli della Baronia di San Michele. Ogni famiglia era tenuta a pagare per diritto di feudo la somma annua di una lira e due soldi, da versarsi metà a marzo ed il rimanente ad agosto.

 

Nel 1535 si registra un fatto di cronaca molto curioso, un processo contro un tale Giovanni Masoloy di Sestu, descritto dal canonico Giovanni Spano nel suo Bullettino Archeologico e riportato in un documento del 3 novembre 1535, scritto in lingua catalana. Nel documento è raccontata la deposizione fatta al fisco da quattro testimoni circa il ritrovamento a San Sperate di un certo quantitativo di monete cartaginesi.

Ma ecco il fatto.

Un certo Nicolò di Tarragona, abitante a Cagliari, avendo sentito che in Ussana vi era una cavalla molto vantata, vi si recò con l'intenzione di comprarla, trattenendovisi due giorni senza concludere l'affare. Al rientro si fermò a Sestu dove dormì nella casa di Giovanni Masoloy, forse oste, che aveva conosciuto quando passò prima per recarsi ad Ussana. Nella notte il Masoloy domandò all'ospite il motivo della sua permanenza a Sestu e questi rispose che cercava una cinquantina di maiali da portare a Tunisi. A questo punto il nostro concittadino chiese all'aragonese se sapeva mantenere un segreto mai svelato né alla moglie, né ai figli, né al genero (che era un argentiere) e tantomeno ad altra persona per paura di essere scoperto e incarcerato. Avute assicurazioni in merito, il Masoloy rivelò che si trattava di un tesoro, proponendone all'altro l'acquisto per metà del suo valore e così dicendo mostrò una delle monete che teneva nascoste. Il Tarragona rispose che conveniva portare il deposito segretamente a Cagliari perché un esperto potesse stabilire se si trattava effettivamente di monete d'oro, non essendo lui un intenditore. Ma il Masoloy, per timore di essere scoperto, non accettò la proposta ed il Tarragona, senza concludere l'affare, fece rientro a Cagliari.

 

Alcuni mesi dopo il Sestese, recatosi nella città per comprare delle tavole, incontrò nel quartiere della Marina il Tarragona a cui ripropose l'affare delle monete, prospettandogli un guadagno di una cinquantina di ducati. L'aragonese insistette per il trasporto delle monete nella città, senza riuscire a convincere l'altro e dopo una lunga discussione si accordarono perché il giorno seguente s'incontrassero a Sestu, portandosi appresso il Tarragona una bilancia per pesare il tesoro. L'astuto catalano, che doveva portare con sé anche il denaro per concludere l'affare, temendo qualche tranello, confidò la faccenda ad un alfiere ed ad un altro amico di Stampace chiamato Susena, coi quali si accordò perchè questi ultimi due lo anticipassero nella venuta a Sestu, alloggiando presso il Masoloy. Al momento della pesatura delle monete sarebbero entrati con la forza nella stanza, sorprendendo il Sestese e denunciandolo all'Autorità, perché si aveva il sospetto che le monete fossero false. Era evidente la malafede del Tarragona, che aveva già potuto constatare l'autenticità delle monete e la sua insinuazione sulla loro falsità gli serviva unicamente per avere un alibi di fronte al fisco ed evitare l'incriminazione di complicità nell'infrazione delle leggi sui tesori. Dopo la macchinazione il Tarragona si pose in viaggio di buon mattino (e non di notte come voleva il Masoloy) e giunto in casa di costui si levò la cappa e la spada che collocò sopra un tavolo. Il Masoloy prese la spada e la portò in un'altra camera, apparecchiando poi il tavolo per la colazione, dove fece portare due tordi arrosto.

 

Intanto il Tarragona sollecitava perché si concludesse in fretta l'affare, facendosi ora tarda. Il Masoloy chiuse bene le porte della stanza e tirò fuori 30 o 40 monete d'oro avvolte in un drappo, collocandole sopra il tavolo. Il Tarragona trasse fuori e posò sopra il tavolo un sacchetto contenente i ducati e cominciò a pesare le monete. Nel mentre i complici di costui bussarono alla porta con la scusa di chiedere del vino; il Masoloy aprì la porta per allontanare i disturbatori, ma questi riuscirono ad entrare nella stanza. A questo punto il Masoloy, che teneva nella mano il sacchetto col suo tesoro, si precipitò verso il Tarragona al quale strappò il sacchetto contenente i ducati e nacque una zuffa tra i due. In quell'istante entrò dal cortile un tale che, vedendo i due accapigliati, sferrò una pugnalata al Tarragona colpendolo ad un braccio, ferendolo lievemente grazie all'imbottitura della giubba che indossava, ma una seconda pugnalata lo prese in testa procurandogli un grande dolore. Intanto l'alfiere ed il Susena uscirono in strada per cercare aiuto e per tentare di impedire la fuga al Masoloy che nel tafferuglio aveva perso quattro o cinque monete antiche, raccolte dall'alfiere. Anche il Susena, nel tentativo di difendere il Tarragona, riportò una ferita nell'omero destro causata da un altro uomo vestito con un saio nero. Finalmente il Tarragona riuscì, senza cappa né spada, a guadagnare la strada gridando aiuto. Accorse il maggiore di giustizia del villaggio che lo prese per portarlo in casa sua, ma un altro uomo non conosciuto diede al Tarragona un'altra coltellata alle spalle e lo avrebbe ammazzato senza il soccorso del maggiore di giustizia. Così termina la deposizione del Tarragona nel processo. Seguono le deposizioni di altri testimoni, fra i quali Lorenzo Angioni di San Sperate, scopritore in questo villaggio del tesoro in questione, rinvenuto mentre scavava per fare ladiris per la costruzione di una casa. Il tesoro, che constava di trecento monete, fu diviso in cinque parti perché alla scoperta assistettero altre quattro persone che lavoravano con l'Angioni. Una di queste parti pervenne al Masoloy. Altre finirono in mano dell'argentiere Antonio Giovanni Pixoni di Cagliari, che le fuse. Un altro argentiere, Francesco Linares, coinvolto pure lui nel processo, affermò di aver fuso una di quelle monete che prima della fusione pesava due ducati e nove grani, ma dalla fusione ricavò soltanto un ducato meno due grani d'oro fino concludendo che l'oro di quelle monete era di infima qualità. Dalla descrizione delle monete si deduce che si trattava di un ripostiglio di aurei punici, rinvenuti con frequenza in Sardegna. L'aureo punico riproduce, da una parte, la testa di Astarte o Cerere con corona di spighe, spesse volte con orecchini e monile, e dall'altra un cavallo. Sull'esito finale del processo non si hanno notizie.

Dopo dobbiamo risalire al 1566 per avere altre notizie che ci riguardano ed ancora una volta ci sovviene un documento ecclesiastico. Si tratta di una lettera del Papa Pio V, datata a Roma il 13 luglio 1566 e conservata nell'archivio vaticano, riguardante la prebenda di Sestu. Il Pontefice, essendo rimasto vacante il canonicato della villa di Sestu, con la relativa prebenda, per la morte dell'ultimo possessore Monserrato Miro, nomina successore il canonico cagliaritano Benedetto Stefano Limona. Da mandato quindi all'Auditore Generale di Curia ed ai canonici cagliaritani Angelo Rocca e Gerolamo Comprat di prendere possesso del canonicato e prebenda, esigendone i proventi dal giorno della morte del Miro per rimetterli al canonico Limona, al momento della ricezione delle lettere pontificie di concessione.

Nel secolo XVII due avvenimenti di carattere generale per l'Isola ci riguarda direttamente. Nell'anno 1652 si sviluppò in Alghero una pestilenza che percorse tutta la Sardegna. Il male a Cagliari e dintorni arrivò, falcidiando la popolazione, nel 1655, per estinguersi nel 1656. Anche Sestu subì le funeste conseguenze di questo male vedendo ridotte le famiglie a 229 contro le 252 del 1627, oltre ai numerosi morti registrati nelle famiglie superstiti. Una terribile carestia nel 1680 mise nuovamente a dura prova la popolazione, facendone strage per la fame patita. Infat6i al censimento del 1688 si registrarono 256 famiglie contro le 267 del 1678.

 

Abbiamo infine, una notizia interessante della fine del secolo. Durante lo svolgimento del parlamento convocato dal viceré Conte di Montellano (1697-1699) la villa di Sestu domandava l'esenzione dal pagamento dell'incarica nelle ville del distretto e dalla conduzione della paglia. Lamentavano, inoltre, gli abitanti di Sestu come eccessiva la corresponsione del donativo e gravosa la proporzione del grano di scrutinio. La risposta che si ottenne fu di fare una nuova e diversa ripartizione del carico dei predetti tributi fra gli abitanti sestesi.

 

Autore: Franco Secci

 

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