Dal 1400 a oggi 2

XVIII Secolo

Il 1700 è più denso di avvenimenti per la storia sestese. In questo secolo vennero realizzate, soprattutto ad opera dei prebendati Antonio Carcassona e Francesco Ignazio Guiso, le belle opere in marmo policromo della chiesa di San Giorgio. Assistiamo pure alla nascita di opere di rilevanza sociale ma continuano a registrarsi anche pestilenze e carestie che affliggono la popolazione. Vediamo analiticamente le notizie relative a questo periodo che siamo riusciti a racimolare. 

Nel 1707 venne realizzata in marmo l'altare maggiore, compreso il tabernacolo, della chiesa di San Giorgio. Nel 1720 venne aggiunta una cappella sul lato sinistro della chiesa di San Giorgio. Lo stesso anno si registrò una pestilenza di cui non conosciamo gli effetti prodotto tra la popolazione.

Tra il 1728 ed il 1729 una terribile carestia dimezzò la popolazione composta da 1.023 abitanti; infatti al successivo censimento del 1751 furono registrati solamente 541 abitanti. 

Il 22 dicembre 1736 il viceré di Sardegna, Carlo Amedeo Battista, marchese di San Martino d'Agliè e di Rivarolo, annunciava l'intenzione di effettuare una visita in tutta la Sardegna per rendersi conto di persona sulla situazione dell'Isola e adottare i giusti mezzi per combattere e sradicare il banditismo che l'affliggeva. Il viaggio, previsto per la fine di gennaio o l'inizio di febbraio dell'anno successivo, di fatto ebbe inizio nel mese di marzo 1736 e benché l'itinerario non interessasse l'abitato di Sestu, questa Comunità dovette fornire due carri e due cavalli per la carovana del viceré.

 

Nel 1744 venne realizzato in marmo il battistero della chiesa di San Giorgio. Il 18 maggio 1752 assistiamo senz'altro all'avvenimento più importante di questo secolo per la Comunità sestese, la fondazione del monte granitico detto anche monte di soccorso. Fu voluto principalmente per combattere l'usura ed alleviare i danni delle ricorrenti carestie, dal canonico Francesco Ignazio Guiso, che partecipò all'atto di fondazione unitamente ai sacerdoti della chiesa sestese ed ai sindaci Antioco Sunda e Antioco Loi Jorge. 

Il 4 gennaio 1759 il viceré di Sardegna emanava un pregone per la disciplina delle ronde che la cavalleria miliziana doveva effettuare nelle strade pubbliche. Le disposizioni si resero necessarie per la garanzia dei viandanti. La ronda doveva tenersi dallo spuntare del solo sino al tramonto. I miliziani incaricati della ronda dovevano possedere un cavallo; chi ne era sprovvisto era tenuto ad acquistarlo in breve tempo e finchè non vi avesse provveduto doveva affittarne uno o farsi sostituire a spese proprie. Anche Sestu era tenuto a fornire uomini per effettuare la ronda nella strada detta del Sarcidanu. Infatti il pregone disponeva: "Dalla villa di Sestu usciranno ogni lunedì, e sabato sette uomini, che ronderanno la strada da Sestu sino ad Ussana; Dalla villa di Ussana usciranno ogni domenica sette uomini, che ronderanno da essa villa sino a Sestu. 

Da Villa Greca usciranno ogni martedì sette uomini, che ronderanno da Ussana sino a Sestu. Dalla villa di Donori usciranno ogni mercoledì sette uomini, che ronderanno da Ussana sino a Sestu. Dalla villa di Monastir usciranno ogni venerdì sette uomini, che ronderanno da Ussana sino a Sestu. Dalla villa di Nuraminis usciranno ogni giovedì sette uomini che ronderanno da Ussana sino a Sestu".

 

XIX SECOLO

Il secolo XIX non esordiva certamente meglio dei precedenti. Nel 1802 si registrava una carestia e nel 1803 si sviluppava nelle carceri baronali di Selargius una febbre epidemica che si propagò in breve tempo tra la popolazione dello stesso abitato e successivamente nel circondario investendo anche Sestu. Inizialmente queste febbri furono confuse con quelle della malaria; colpiva soprattutto i giovani e gli uomini di mezza età, risparmiando i vecchi ed i ragazzi. 

Nel 1812 un'altra terribile carestia mise a dura prova la popolazione tanto da essere ancora ricordata nella tradizione orale col detto "e unu famini che s'annu doxi". 

 

Nel 1816 e nel 1817 si ripete la carestia ancora in modo drammatico tanto che il grano raccolto non è sufficiente a coprire il debito che ogni contadino ha col monte granitico. Non si trova un imbuto di grano nemmeno a pagarlo in contanti ed ancora peggio è la situazione per il pane; il paese, desolato, muore di fame. La scarsità del raccolto pregiudica persino la seminagione per l'anno successivo non essendo sufficiente a coprire i terreni preparati per la semina. Conseguenza di questo disastro è pure la scarsità della paglia per il mantenimento dei buoi da lavoro tanto da indurre le autorità locali a riservare il pascolo de Su Pardu a questo bestiame, precludendo l'accesso all'altro.

Il 1822 vede l'inizio di quella grande opera pubblica che è la strada detta "Carlo Felice", la quale da Cagliari conduce a Porto Torres. Ricalca quasi completamente il tracciato della vecchia strada romana che attraversava la Sardegna, tranne che nel tratto iniziale Cagliari-Sestu. Infatti la vecchia strada tagliava l'abitato di Sestu e lo collegava a Cagliari attraversando la zona di San Lorenzo, mentre la nuova strada posta ad uguale distanza tra Sestu ed Elmas, rasentando la proprietà dei nobili Asquer di Flumini, in regione Piscina Matzeu. Questo fece pensare ai Sestesi che lo spostamento della strada fosse dovuto all'intervento di questi nobili presso il governo, che a sua volta avrebbe fatto pressioni al progettista per agevolare l'accesso alle loro proprietà. Invece l'Ing. Giovanni Antonio Carbonizzi, progettista e direttore dei lavori della strada, giustificò la decisione di spostare il tracciato viario da Sestu verso Elmas perchè non si discostasse troppo dalla diramazione che da Elmas portava a Decimomannu ed a Domusnovas. A nulla valsero le proteste di Setesi per il ripristino del vecchio tracciato della strada. 

 

Quanto accadde nel 1830 a Sestu destò l'indignazione di tutti i suoi bravi e laboriosi abitanti. Una persona per bene e stimata qual era il notaio Antonio Ignazio Schintu, offeso e picchiato da Efisio Floris, meglio conosciuto da tutti col soprannome di Pezza de crabu. Tipo turbolento e facinoroso, Pezza de crabu era stato processato e condannato alla galera per i suoi delitti fin da quando apparteneva al reggimento di Sardegna. Ma ce l'aveva in modo particolare col notaio Schintu e con sua moglie, la signora Antioca Pilloni, a cui già diverse volte rivolse insulti ed offese, per le quali era stato pure condannato. Questa volta però passò dalle parole ai fatti e ruppe la testa al povero notaio, rifugiandosi poi nella chiesa parrocchiale, dove vigeva il diritto d'asilo. Qui non si limitò a beneficiare dell'incolumità che gli si offriva ma continuò ad infastidire e ad insultare con parole provocatorie i coniugi Schintu ogni qual volta si recavano alle funzioni religiose, tanto da costringerli ad interrompere la frequenza della chiesa per evitare di commettere qualche eccesso profanando il luogo sacro. Non sortì alcun effetto positivo neppure l'intervento del parroco, fatto oggetto pure lui delle insolenze del Floris. Tra l'altro, a parte il fastidio arrecato a chi frequentava la chiesa ed al parroco, diventava un vero pericolo per i locali ecclesiastici ed i loro arredi in quanto usava accendere del fuoco all'interno di essi. Non restò altro da fare che rivolgere una supplica all'arcivescovo affinché il Floris fosse trasferito in altri luoghi religiosi dove si potesse contenere la sua intemperanza e gli fosse impedito di nuocere. 

Il giorno 5 maggio 1836 moriva a Torino il canonico teologo Giovanni Maria Dettori. Nato a Tempio, il Dettori fu titolare della prebenda di Sestu e, memore dei benefici ottenuti dai Sestesi, nel suo testamento dispose il lascito di parte dei suoi beni alla Parrocchia di Sestu con l'incarico, per questa, di pagare al seminario di Cagliari la somma necessaria per stabilirvi due piazze perpetue per due chierici di Sestu, tra i più poveri. La restante somma ricavata dal prodotto delle sostanze lasciate alla Parrocchia si sarebbe dovuta distribuire ai poveri di Sestu nel modo ritenuto più opportuno dal parroco. 

 

Nel 1839 Sestu si affranca dal giogo dell'anacronistico istituto del feudalesimo, divenendo un comune libero. 

Nel 1841 si realizzò una importantissima opera: il cimitero. Sistemato fuori dell'abitato occupava l'area dove attualmente sorgono la scuola materna ex ESMAS ed il magazzino comunale, tra le vie Verdi e Donizetti. Fino a questa data le persone di rango, con notevoli capacità economiche, venivano sepolte all'interno della chiesa con cerimonie più o meno fastose, mentre le salme degli appartenenti alle classi povere venivano sepolte nelle aree attigue alla chiesa con poche cerimonie.

 

Il 9 dicembre 1843 il Consiglio Comunale approvava il Catasto Provvisorio dei Beni Stabili degli abitanti. Col Sindaco Pasquale Manunza, parteciparono alla seduta i consiglieri Efisio Meloni, Cesello Lussu, Efisio Luigi Spiga, Sisinnio Carta, assistiti dal segretario comunale il notaio Pasquale Mattana. Per l'occasione il Consiglio venne integrato dai probi uomini Francesco Raimondo Perseu ed Efisio Manunza di prima classe; Giuseppe Antonio Mereu di seconda classe; Paolo Zuddas di terza classe; Raimondo Spiga Sanna di quarta classe; Efisio Caredda di professione muratore e falegname. L'11 settembre precedente era stato dato un bando pubblico perché i proprietari denunciassero, in casa del Sindaco, i propri beni stabili. IL 26 settembre le denunce venivano sospese per accudire alla vendemmia e ripresero il 26 ottobre successivo. I bandi vennero ripetuti nei paesi confinanti per coloro che possedevano beni a Sestu, senza risiedervi. 

Lo stesso anno la sede della scuola venne trasferita nei locali attigui alla chiesa di San Giorgio, dove prima si raccoglievano le ossa dei morti. L'adattamento dei locali comportò una spesa di 38 lire e 40 centesimi. In precedenza le lezioni si tennero o in Sant'Antonio o in casa dell'insegnante; gli alunni erano in numero assai limitato e si riducevano quasi a zero nel periodo del raccolto perché venivano impiegati nei lavori agricoli. Questo comportava una percentuale altissima di analfabeti tanto che documenti e testamenti non venivano spesso firmati dagli interessati, ai quali dovevano essere tradotti in sardo per essere capiti; persino molti consiglieri comunali erano illetterati. L'insegnante non contribuiva molto a sollevare il livello dell'istruzione; finì persino in carcere e l'ispettore generale delle scuole di metodica ed elementari, non intendendo reintegrarlo nell'incarico alla fine della carcerazione, il 3 ottobre 1844 scriveva al parroco perché comunicasse al Consiglio Comunale questa decisione. Chiedeva proposte per la sostituzione, preferibilmente un ecclesiastico e nel frattempo, perché la scuola non restasse chiusa, si nominasse supplente un vice parroco. Così avvenne, ma il Consiglio Comunale, sentitosi espropriato delle proprie prerogative, essendo sua competenza la nomina e la retribuzione dell'insegnante, decise di ridurre da 60 a 40 scudi sardi lo stipendio annuo dell'insegnante, ritenuti sufficienti per gli alimenti e gli indumenti di un ecclesiastico, avendo meno esigenze di un secolare. 

Intanto l'annata, poco propizia per la campagna nel 1843, non ebbe migliore sorte nel 1844. Il 14 aprile di quest'anno il Consiglio Comunale, poiché mancava il pascolo per ogni tipo di bestiame a causa della siccità, preoccupato per la sorte degli animali, decideva di chiedere l'autorizzazione a far pascolare questo bestiame nei vacui della vidazzone, mancando persino la paglia, già esaurita nei mesi invernali per la scarsità del raccolto dell'anno precedente. L'11 luglio l'Intendente Provinciale scriveva al Sindaco che le autorità governative, tenuto conto delle condizioni poco prospere in cui versavano i contribuenti sestesi a causa della sterilità del passato raccolto, avevano stabilito di esonerare questi dal pagamento di spese ed interessi moratori sui contributi scaduti e non ancora saldati, purchè provvedessero immediatamente al pagamento a mani dell'esattore quando si sarebbe presentato per la riscossione. Ma il raccolto del 1844 fu peggiore di quello dell'anno precedente. I lamenti degli agricoltori si raccoglievano dovunque; moltissimi non riuscirono neppure a restituire al monte granitico il grano avuto in prestito per la semina. I pochi che riuscirono a farlo venivano considerati privilegiati, ma anche questi risultarono poi debitori dei diritti decimali da versare alla chiesa, la quale lamentava che ormai era invalso l'uso da parte dei contadini di pagare le decime non con i prodotti della propria terra, ma con altri di qualità più scadente appositamente acquistati. Le conseguenze di questa situazione furono catastrofiche; tantissimi avrebbero perso a causa dei loro debiti i buoi da lavoro, necessari per la seminagione futura, portando grande danno all'agricoltura. 

 

Nel 1845 abbiamo un altro episodio che vede contrapposto il potere laico, cioè il Consiglio Comunale, al potere ecclesiastico, ossia il parroco. Era tempo di quaresima e come di consueto la popolazione, ossequiosa ai precetti religiosi, si recava in chiesa per ascoltare le prediche quaresimali e confessarsi, assolvendo così al precetto pasquale. Era costume inveterato a Sestu che il predicatore quaresimale venisse nominato e retribuito dal Consiglio Comunale. Assolvendo al suo preciso dovere il Consiglio Comunale nominò predicatore quaresimale un frate francescano, certo frate Meloni, il quale per sua disgrazia e con rammarico dell'Amministrazione Comunale, si ammalò pregiudicando i precetti quaresimali. Il Sindaco, con sollecitudine, provvide a procurare un sostituto e ad accompagnarlo in chiesa, dove, con sua grande sorpresa e meraviglia trovò un altro predicatore che provvedeva alle funzioni liturgiche. Questo predicatore, un certo padre Satta, all'insaputa del Sindaco e del Consiglio Comunale, era stato incaricato dal parroco di sostituire il predicatore ammalato. Ancora una volta il Consiglio Comunale si sentiva espropriato delle competenze e, su proposta del Sindaco, decise di non pagare al padre Satta il solito onorario previsto in bilancio per il predicatore quaresimale. La controversia si risolse a favore del padre Satta dopo tempo e con i ricorsi inoltrati all'arcivescovo, all'intendente provinciale e persino al viceré. 

Intanto la siccità continuava ad imperversare. Nel 1846 la proporzione media del raccolto sul seminato fu del 3 per il grano, del 5 per l'orzo, del 3 per le fave e del 2 per le cicerchie. Per dirla in breve molti non riuscirono a ricuperare quanto seminato. Per alleviare la fame il 18 marzo 1848 il Censorato Generale assegnò al nostro Comune la misera quantità di 25 ettolitri di grano. Non venne neppure ritirata per la paura che il razionamento potesse infastidire maggiormente gli abitanti e causare una sommossa popolare, come era già avvenuto in altri centri, considerato inoltre che nella distribuzione si sarebbe dovuta dare la precedenza agli agricoltori. Venne chiesto al viceré l'invio di almeno 150 ettolitri di grano. Ancora nel 1850 si doveva ricorrere ad introdurre i buoi da lavoro nei vacui della vidazzone per la loro sopravvivenza. Una giornata di lavoro di un giogo di buoi costava allora due lire e 88 centesimi, mentre la giornata di un bracciante costava 96 centesimi.

A questi grossissimi problemi altri minori se ne aggiungevano per la Comunità. Nel 1847 si registrarono nuove lamentele per l'insegnante della scuola. Il nuovo locale scolastico risultava in buona posizione, comodo e pulito; il numero degli alunni frequentanti era di dodici ma il loro profitto era scarso perché l'insegnante profondeva nell'insegnamento poco impegno, anche se era persona di buoni costumi. Si assentava in continuazione e nonostante fosse stato ripreso dai superiori frequentava più la caccia che la scuola. I genitori degli alunni, già poco inclini a far frequentare la scuola ai propri figli perché più utili in campagna, avevano dal comportamento del maestro un motivo maggiore per distogliere i ragazzi dalla scuola. Il parroco, che aveva il dovere di far progredire l'insegnamento, non si curava della situazione anche perché legato da vincoli di parentela con l'insegnante. Nel maggio del 1851 l'Amministrazione Comunale, constatato che la situazione della scuola non era migliorata, licenziava l'insegnante. 

 

Altro problema che allora preoccupava la popolazione di Sestu erano i disordini che si verificavano di notte ad opera di scalmanati. Il problema venne affrontato nel mese di febbraio del 1849 giungendo alla conclusione che i disordini erano resi possibili dalla scarsa sorveglianza effettuata dalla Compagnia Barracellare. Ma questa si difendeva col fatto che la sorveglianza dell'abitato era competenza della milizia ed il Sindaco, in qualità di capitano di questo corpo, doveva garantire l'ordine pubblico con l'istituzione di una ronda composta da dieci militi ed un sergente per la sorveglianza dei luoghi e dei beni dei cittadini. 

Nel mese di luglio dello stesso anno il Sindaco prospettava la necessità di destinare un locale alla trattazione degli affari comunali, da usare anche per l'alloggio delle truppe di linea costrette ad alloggiare presso privati, i quali si lamentavano del fatto. Nello stesso locale dovevano essere custoditi i militi nazionali insubordinati ed i carcerati, stante l'abolizione del posto di Maggiore di Giustizia, che prima provvedeva a queste incombenze. Il Consiglio Comunale decideva di prendere in affitto, per lo scopo, la casa dei fratelli Giovannico e Napoleone Mereu, non rivenendovene altra idonea.

 

Sempre nel 1849 assistiamo ad un ennesimo dissidio tra il sindaco ed il parroco. Questa volta il Sindaco, l'avv. Valeriano Ortu, riuscì a far deliberare dal Consiglio delegato (l'attuale Giunta Municipale) una disposizione per l'abolizione delle questue da parte della chiesa perché, si diceva, erano pregiudizievoli per la comunità. Ciò naturalmente non fu di gradimento del parroco, il sac. Giovanni Antonio Sechi, il quale, per prima reazione, fece conoscere che non intendeva revocare le questue senza il parere dell'Ordinario diocesano di cui occorreva il permesso per effettuarle. Inoltre il parroco avrebbe gradito che sul caso si fosse pronunciata la Giunta doppia onde stabilire se propriamente tutte le questue erano da intendersi pregiudizievoli per la comunità, come asseriva il Consiglio delegato. Questo, poi, doveva dimostrare come in materia di culto divino, al quale tendevano le questue, potesse motu proprio, ingerirsi e definitivamente operare. Passata la prima sfuriata il parroco chiedeva al sindaco se fra le questue proibite fossero da comprendere quella settimanale delle Anime, la settimanale della Vergine del Rosario, quella delle quarant'ore di quaresima e le questue che solitamente effettuavano i frati. In quanto all'inibizione fatta ai sacristi ed all'organista di accettare compensi spontanei per le loro prestazioni, il parroco ricordava allo stesso Consiglio che in virtù dell'atto notarile del 26 agosto 1709 i medesimi avevano diritto ad essere retribuiti dalla comunità per la manutenzione dell'orologio del campanile e che, quando la comunità venisse meno all'impegno assunto, la responsabilità per la loro retribuzione ricadeva sul sindaco e Consiglio pro-tempore.

 

Autore: Franco Secci

 

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