Il Medioevo a Sestu

La storia sestese, dalla caduta dell'impero romano d'occidente e per tutto l'alto medioevo presenta un vuoto assoluto.

Questo si verifica anche per i secoli del basso medioevo abbiamo poche notizie fornite da sporadici documenti, quasi tutti di natura ecclesiastica, che assai poco ci dicono sugli abitanti e sull'abitato di Sestu. In effetti, dalla dominazione vandalica (455-534) al mille, tutta la storia della Sardegna in generale è avvolta nel buio; di questo periodo non si ha che qualche epigrafe sardo-bizantina affatto chiarificatrice. 

Durante il medioevo nelle campagne si mantennero inalterati i precedenti sistemi produttivi e immutata rimase la società, divisa in liberi e servi, tutti dediti all'agricoltura ed alla pastorizia, con un artigianato limitato alle necessità locali. Nella nostra zona gli abitati, di limitata entità, erano formati da agglomerati di modeste abitazioni rustiche composte da poche stanze, anzi per la maggioranza costituite da un unico vano, costruite in ladiri. L'economia era a carattere curtense; la coltura cerealicola, grano ed orzo in prevalenza, dominava accanto alla pastorizia di tipo brado. 

 

A Sestu, che nel periodo faceva parte della Curatoria del Campidano, detta anche Civita, oltre alla coltura cerealicola erano presenti i vigneti e non mancavano gli orti. La vita era assai grama per tutti sia per la depressione economica, sia per il collettivismo accentuato, soprattutto nelle terre agricole e pastorali. Nella coltivazione dei cereali si seguiva la rotazione biennale, praticata fino a qualche decennio fa, per cui la terra per un anno si coltivava e l'anno successivo si lasciava riposare, destinandola a pascolo. 

 

Il documento più antico, successivo al periodo della dominazione romana, che ci da notizie di Sestu risale al XIII secolo e fa parte della raccolta "carte volgari", conservata nell'Archivio Arcivescovile di Cagliari. Si tratta di una pergamena, munita di bolla plumbea, databile al 1220-1212, con la quale il vescovo Paolo di Suelli, ottenutane l'autorizzazione dal giudice Salusio di Lacon, da forma pubblica a parecchi atti di acquisto e di donazione, compiuti a vantaggio della sua Chiesa. La pergamena, scritta in campidanese come tutte le carte della raccolta, è interessante per la nostra storia perché in essa viene citato il monastero di San Pietro. Del monastero non conosciamo pressoché nulla, né la data di fondazione, né l'ordine monastico di appartenenza e neppure quando e perché fu abbandonato. Dal documento risulta pure che il maiore della villa di Sestu era in quel periodo Mariani de Orru. Per avere altre notizie del nostro paese dobbiamo giungere al 1300. Le ricaviamo da una statistica fatta compilare nel 1322 dal Comune di Pisa per stabilire i tributi che ogni villaggio ad essa assoggettato doveva versare. Da questa statistica si deduce che Sestu aveva 400 abitanti circa e versava al Comune toscano i seguenti tributi: 

PRO DATIO libre 68 soldi 11 

PRO DIRICTU TABERNARUM libre 20 soldi - 

PRO SERVIS ET ANCILLIS libre 3 soldi 5 

PRO PENTIONIBUS TERRARUM -PRO TERRITORIU - PRO SALTU libre 15 soldi15 

GRANO starelli 360 

ORZO starelli 360

 

Intanto nel 1324 gli Aragonesi conquistavano la Sardegna sottraendo il Cagliaritano ai Pisani e Sestu, con diversi altri villaggi, veniva concesso in feudo dal re d'Aragona a Berengario Carroz, per ricompensarlo del contributo che diede alla spedizione per la conquista dell'Isola. 

Del 1338 è l'inventario dei beni del Priorato di San Saturno, fondato a Cagliari nel 1089 dai monaci di San Vittore di Marsiglia che ebbero dai giudici cagliaritani vaste concessioni di chiese, terre, vigne, servi e animali. Da questo inventario, conservato negli archivi dipartimentali delle Bocche del Rodano, in Francia, apprendiamo che a Sestu i monaci vittoriani possedevano vari appezzamenti di terreni, coltivati a grano e orzo e persino un orto che fruttava all'abbazia ogni anno 20 soldi. Una notizia del 1357 ci informa che nello stesso anno la villa di Sestu versava la somma di cinque lire e dieci soldi per essere destinata alla lotta contro i turchi. I tributi furono riscossi da Raimondo, vescovo suscitano, su incarico del papa Innocenzo VI. Anche la Mensa Arcivescovile di Cagliari in questo secolo possedeva diverse terre a Sestu. L'inventario delle rendite della Mensa, redatto su istanza di Pietro De Deo procuratore generale dell'arcivescovo, tra il 19 febbraio ed il 21 marzo del 1365 dal presbitero Giuliano Codina, giurato del notaio pubblico Arnaldo Cerol, ci da l'elenco dei beni posseduti a Sestu. Alcune delle terre della Mensa prendevano il nome di Donichel o Donixello perchè un tempo erano state patrimonio del figlio primogenito del giudice di Cagliari, chiamato appunto donnicello. Da queste terre la mensa riceveva, ogni anno, per la festa di San Michele di settembre un tributo di 24 starelli di orzo. In questo periodo pure la chiesa di San Pietro e le terre ad essa annesse appartenevano alla Mensa. Altre terre dipendevano dalla chiesa di San Giorgio e di San Gemiliano.

 

Autore: Franco Secci - storico

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