Le Origini di Sestu

Le origini di Sestu, come quelle di tanti altri abitati della Sardegna, sono avvolte dalle tenebre. Non è facile ricostruire la sua storia per l'esiguità dei documenti pervenutici, archeologici ed epigrafici quelli risalenti fino al periodo della dominazione romana, scrittori e quasi tutti ecclesiastici quelli dei secoli successivi, fino al XVII secolo.

Il nome di Sestu è indiscutibilmente di origine romana, ma questo non vuole dire che l'abitato sia sorto nel periodo della dominazione romana della Sardegna. L'origine di Sestu è precedente a questo periodo e probabilmente risale all'eneolitico, cioè al terzo millennio a.C. A convicerci sono le tracce di vari villaggi preistorici insediati all'interno dell'attuale territorio comunale quali San Gemiliano, Seurru, Cabriolu Paderi, Cuccuru Biancu, Cuccuru Is Paras, alcuni vitali fino al XV secolo d.C. Questi insediamenti furono favoriti dalla loro vicinanza agli stagni, alle lagune, alle scogliere ed alle spiagge del Golfo di Cagliari, fonti inesauribili di sostentamento per la possibilità di pescare pesci e molluschi. Accresceva la loro sussistenza la possibilità di caccia nelle vicine colline, coperte di boschi e ricche di sorgenti d'acqua e di fauna variegata. Di questi villaggi poco è rimasto e del primo nucleo di Sestu non si ha più traccia, ma ciò è facilmente spiegabile. Il nostro territorio è caratterizzato da enormi banchi d'argilla, sfruttati in ogni tempo per la fabbricazione dei laterizi, e dall'assenza sul suolo di materiale litico, per cui il pietrame delle vecchie costruzioni è stato reimpiegato soprattutto nelle fondazioni di nuove abitazioni edificate nei periodi successivi. Un lampante esempio di quanto detto ci viene dalla lapide calcarea inserita nel basamento di un'abitazione di Via Vittorio Veneto e che originariamente costituiva il cippo funerario della tomba di un soldato romano, come vedremo successivamente.

 

È opinione di molti che l'abitato di Sestu sia sorto originariamente in località diversa dall'attuale e che qui gli abitanti siano pervenuti intorno all'XI secolo, dopo aver abbandonato il primo popolato a causa di una carestia. Questa convinzione è derivata dal rinvenimento delle tracce degli abitati già accennati e di altri. Invece Sestu ha occupato sempre l'attuale sito. E' della stessa opinione anche Giovanni Spano, considerato il padre dell'archeologia sarda, il quale scriveva di Sestu: "Non si è mai dubitato della sua ubicazione: ma gli oggetti antichi che si sono in ogni tempo trovati nelle prossimità del villaggio, dimostrano precisamente che l'attuale popolazione occupa lo stesso sito dell'antica". Ed ancora: "… ma tutto questo che abbiamo annunziato dimostra che l'attuale villaggio di Sestu occupa lo stesso sito dell'antico oppido romano che sarà stato ricco, attesa la fertilità del terreno, e la sua posizione, che pure sarà stata men critica e men salubre di quello che lo sia attualmente". Ma com'era il primo nucleo di Sestu? Probabilmente l'aggregato era costituito da capanne di frasche, intonacate all'interno con argilla, dal basamento di pietra, disposte irregolarmente attorno al fiume, senza un preciso criterio urbanistico, come i villaggi preistorici citati, di cui abbiamo testimonianze.

 

Gli insediamenti preistorici

Cabriolu Paderi

Questo toponimo presenta diverse varianti: Craviole Paderi (questo è il toponimo che compare nelle mappe ufficiali), Cabriolu Paderi, Cabriola Paderi; secondo la tradizione orale "Cabriola" sarebbe la corruzione del nome proprio "Gabriele" e quindi starebbe ad indicare il nome del proprietario terriero. Da documenti del XVIII secolo si rileva una ulteriore variante: "Cabril Paderi", che non si discosta di molto come significato dai precedenti, perché comunque anche questo denota un possesso, un "caprile" ossia un ricovero di capre. La località è nota da tempo agli studiosi di antichità per la presenza di reperti archeologici risalenti ad età remote documentando un insediamento umano. 

L'insediamento neolitico di Crabiolu Paderi, individuato in catasto al foglio 22 su diversi mappali e sulla carta I.G.M. 1:25000 al F° 557, sez. IV, è ubicato a circa un chilometro e mezzo a Nord-Est del Comune di Sestu, e dista appena 3,9 chilometri dal più famoso villaggio preistorico di San Gemiliano (studiato negli anni '50 dal prof. Enrico Atzeni). Gli fanno da corollario importantissimi villaggi preistorici, più o meno coevi, quali Cuccuru Biancu e Seurru, sempre a Sestu, Monte Olladiri e Monte Zara a Monastir, Su Coddu a Selargius ed altri. Questi villaggi sono caratterizzati dalla fase culturale del neolitico recente, detta di San Michele di Ozieri, ed il primo eneolitico detto sub-Ozieri, nonché dalla cultura detta di Monte Claro. Situato ad una quota massima di mt 79 s.l.m., dista mt 250 dal Riu Sassu e mt. 900 dal Riu di Sestu, mentre si trova ad oltre 8 km dallo stagno di Cagliari, che comunque doveva ricoprire un ruolo importante nell'ambito dell'economia del villaggio, come dimostrano i numerosi resti malacologici. Il sito si trova in una zona privilegiata, caratterizzata da rilievi dolci, non eccessivamente sopraelevati, e da una rete idrografica rilevante determinata dalla confluenza del Riu Sassu e Riu Durci nel Cannas, nonché dalla vicinanza del Riu Sestu. Questa situazione fu fondamentale per la scelta del sito. Attualmente i terreni interessati dall'insediamento sono a vocazione agricola, classificati scadenti e possiamo ipotizzare che l'attuale situazione non si discosti più di tanto dal passato. L'attività della raccolta di molluschi integrava quelle più importanti dell'agricoltura e dell'allevamento, la prima testimoniata dai pestelli rinvenuti nel villaggio, la seconda dai resti ossei animali. Una piccola fusaiola litica di forma sferico-schiacciata attesta la pratica della filatura, che con la tessitura fin dal neolitico antico rivestirono una notevole importanza nel campo delle attività artigianali. Il rinvenimento di punte di freccia di ossidiana nei tipi foliato e con peduncolo e alette suggerisce la pratica della caccia e completa il quadro economico dell'insediamento. Alle attività documentate si possono aggiungere le seguenti, prive di documentazione, ma conseguenti alle precedenti: lavorazione delle pelli, del legno, dei metalli ed infine, gli scambi. Come già detto, la presenza di un insediamento antico nella zona è già conosciuta da diversi anni per la presenza, nel terreno arato, di abbondante materiale archeologico, costituito da resti di ceramiche della cultura di San Michele di Ozieri, da resti di pasto (per lo più conchiglie), e da elementi litici, soprattutto ossidiana. Nel 1983 furono rinvenuti due vasi situliformi di cultura Monte Claro, che furono consegnati alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari. L'insediamento venne nel 1989 perlustrato da un tecnico assistente agli scavi della Soprintendenza, il quale rinvenne abbondante materiale preistorico distribuito su una superficie di circa tre ettari. Nel 1994 si ebbe lo studio della Melis, dove figurano materiali, raccolti nel corso di ricognizioni di superficie, riferibili alle fasi Ozieri e SubOzieri, alla cultura di Monte Claro e all'età storica. Per quanto attiene alle caratteristiche morfologiche sono attestate tutte le forme funzionali principali della cultura "San Michele": spiane, vasi a cestello, scodelle troncoconiche ed emisferiche, ciotole e tazze carenate, tripodi, pissidi, olle e vasi a collo, grossi contenitori per derrate. I materiali relativi alla fase Monte Claro sono meno numerosi: si riconoscono piatti, tegami, scodelle troncoconiche, scodelloni troncoconici ed emisferici e vari frammenti ad olle o situle. Lo scavo per le fondazioni di una casa agricola nel 1997 ha messo in luce, lungo le sezioni perimetrali dello scavo, otto sacche preistoriche che documentano con certezza che il villaggio è stato intaccato soltanto superficialmente dalle arature e che quindi in futuro potrebbe essere scavato con metodi stratigrafici, restituendo elementi di sicuro interesse scientifico. Le sacche, situate a circa 50-80 cm sotto il piano di campagna, misurano da mt 1,6 a mt 4,30 di lunghezza per mt 0,50 circa di profondità ed in alcuni casi distano l'una dall'altra mt 4. Nel 1997 si procedette a porre il vincolo ai sensi della legge 1089 del 1939 al solo mappale interessato dai lavori di costruzione dell'edificio suddetto. Successivamente, valutato l'importante interesse scientifico del sito, la Soprintendenza ha ritenuto opportuno estendere il vincolo all'intera area interessata dalle tracce del villaggio, diventando così l'unico villaggio neolitico tutelato nella sua interezza dalla legge citata. 

Com'era strutturato il villaggio? Due sono le ipotesi. La prima fa pensare ad un villaggio architettonicamente strutturato da abitazioni ipogeiche o semipogeiche, con copertura di rami e di frasche. Oppure possiamo ipotizzare il villaggio costituito da abitazioni quadrangolari in materiale lapideo e copertura a lastre.

 

Cuccuru Biancu

Il sito di Cuccuru Biancu è caratterizzato da una collinetta sulla cui sommità è stato costruito un acquedotto. Proprio lo scavo per la posa in opera delle condutture idriche, intorno agli anni '70, portarono al rinvenimento di due antichi fondi di capanne, le così dette sacche, situate a pochi metri l'una dall'altra, contenenti reperti ceramici e qualche oggetto litico. La stazione di Cuccuru Biancu si configura come uno dei tanti villaggi all'aperto del Campidano, sorti grazie al concorso di fattori favorevoli, quali la feracità del suolo e la vicinanza ai corsi d'acqua come il Rio Matzeu, lo stagno di San Lorenzo (oggi bonificato) e lo stagno di Cagliari. Elementi che dovevano ricoprire un ruolo importante nell'ambito del villaggio, come dimostrano i resti malacologici (le comuni conchiglie) che ancora oggi comunemente si rinvengono arando il terreno. Il villaggio sorgeva in luogo sopraelevato la cui sommità raggiunge i 50 metri sul livello del mare e questa fu una scelta opportuna in quanto agevolava il controllo degli interessi dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame; preservava dall'umidità e dagli acquitrini della pianura. Allo stesso tempo era un luogo ventilato nei periodi più caldi. Non si hanno purtroppo dati sufficienti per delineare la forma delle capanne; si presume che fossero circolari od ellitiche, costruite con sole frasche intonacate d'argilla, con la funzione di consolidare la struttura dei rami ed isolare l'ambiente dal freddo e dall'umido. I reperti ceramici rinvenuti appartengono, quasi esclusivamente, a recipienti di uso domestico, di varie fogge e dimensioni, utilizzati per la conservazione di cibi solidi o liquidi, e per la loro cottura: tegami, ciotole, spiane, olle, vasi, tripodi. Quasi tutti presentano delle decorazioni eseguite con tecniche variegate e disegni diversi. Uno dei frammenti rinvenuti non ha avuto finora riscontri in altre località della Sardegna. Tra le ceramiche figurano anche pesi di telaio e fusaiole; mentre tra il materiale litico, in ossidiana o in selce, figurano punte di frecce, zagaglie, coltelli, raschiatoi, macine per la triturazione di semi e di grano. Tra i resti dei pasti sono state rinvenute ossa di bovini, ovocaprini, maiali o cinghiali, senza possibilità di distinzione degli animali domestici dai selvatici. 

 

San Gemiliano

Il villaggio preistorico di San Gemiliano è il primo villaggio prenuragico scoperto in Sardegna. In posizione aperta e dominante, occupava parte del dorso del piccolo altopiano che precede la chiesa. Fu scoperto da E. Mannai nel 1903 e ci ha restituito reperti di notevole valore archeologico, oggi conservati nel Museo Archeologico di Cagliari. 

Nel 1958 un approfondito studio sul villaggio, testimoniato da resti di numerose capanne, è stato compiuto dal prof. Enrico Atzeni dell'Università di Cagliari. La sua posizione rivela condizioni di vita favorevoli. La scelta opportuna del luogo sopraelevato, circoscritto e vigilato agevolava il controllo e gli interessi dell'agricoltura e dell'allevamento del bestiame, preservava dalla maggiore umidità e dagli acquitrini nella stagione invernale e, per via dei venti di Nord e Nord-Ovest, spesso forti, faceva sì che gli stanziamenti godessero di una ventilazione gradevole durante la torrida estate del Campidano. L'agglomerato forse era composto con capanne più spesso isolate e disposte irregolarmente senza un preciso criterio urbanistico. Il villaggio ha restituito numerosi reperti litici e tra questi ha una preponderanza l'ossidiana sulla selce, sulla roccia porfirica ed altre pietre dure. 

I numerosi oggetti raccolti formano una ricca serie di armi e di altri utensili. Sono presenti le cuspidi di freccia e di zagaglia, i raschiatoi, i bulini, le lame, di cui varie fogge possono anche richiamarsi ai tipi arcaici, specie nel paleolitico superiore, ma nel complesso inquadrano gli aspetti morfologici tipici degli "ateliers" prenuragici, di chiara ispirazione e derivazione dalle formule della litotecnica neolitica ed eneolitica. Assai numerosi sono i frammenti fittili rinvenuti nell'area del villaggio, testimonianza di una fiorente industria ceramica legata ad una progredita tecnica vasaria e ad un raffinato gusto estetico e stilistico. Tuttavia, accanto agli esemplari della migliore produzione, al livello del perfezionamento tecnico ottenuto, si ha tutta un'altra classe di ceramiche meno fini e più comuni, unitamente ad altre più grossolane e rozze. 

Queste ceramiche non rivelano l'uso del tornio, ma sono fatte a mano con un rudimentale piatto da vasaio e lo si rileva dalle asimmetrie e dalle varie imperfezioni della fattura. La loro forma si può classificare in due classi: aperte e chiuse. Tra le prime sono caratteristiche e trovano larga diffusione, specialmente in formati di piccole e medie dimensioni, le ciotole emisferiche talora schiacciate a piattello, ma di frequente a pareti alte; le tazze carenate a fondo piatto e quelle a coppa dal fondo convesso; i tegami, le pissidi, i vasi a calathos, le spiane o vassoi portavivande. Alle forme chiuse si riferiscono i vasi biconici, quelli globulari di tipo a fiasco, panciuti con collo cilindrico o tronco conico, i vasi carenati con spalla ripiegata all'interno, con bocca di poco diametro. I manufatti descritti sono riconducibili alla così detta cultura di San Michele di Ozieri (dal nome della grotta naturale di una delle sue più chiare enucleazioni), risalente al neolitico recente e a tempi della prima età dei metalli. 

Nella zona sono stati rilevati pure i resti di capanne di cultura nuragica accompagnati da materiali del periodo, specialmente litici quali macinelli a mano, pestelli, percussori e teste di mazza forate. 

(Notizie tratte da: Enrico Atzeni - I villaggi preistorici di San Gemiliano di Sestu e di Monte Olladiri di Monastir) F.S.

 

Cuccuru Is Paras

Cuccuru Is Paras (Colle dei frati), modesta preminenza nella cui zona è collocato il cimitero, si trova alla periferia dell'abitato di Sestu. Intorno agli anni 80, quando furono effettuati scavi per la sistemazione dell'acquedotto, vennero alla luce diversi frammenti di materiale archeologico. I reperti sono costituiti da frammenti ceramici ascrivibili a diverse epoche storiche e documentano la continuità dell'insediamento per diversi secoli. Abbiamo resti di vasi ed olle per contenere cibi, dell'epoca prenuragica, della cultura di Monte Claro, del periodo nuragico e dell'età romana imperiale. Non mancano l'ossidiana e le valve di molluschi, che integravano la dieta degli abitanti del villaggio.

 

La civiltà nuragica

L'arco di tempo che va dal 1500 al III secolo a.C. è caratterizzato in Sardegna dalla civiltà nuragica. Questa, fra le civiltà antiche, è quella che presenta maggiore consistenza monumentale, tanto da prendere il nome dal suo monumento più caratteristico, il nuraghe. Questa imponente costruzione megalitica era talmente diffusa in tutta la Sardegna che ancora oggi se ne conservano oltre 7.000 tra gli integri e quelli in rovina. Sfortunatamente non sono pervenuti fino a noi i nuraghi costruiti nel nostro territorio, ma questi erano ancora visibili nel 1800. La testimonianza ci è data ancora dall'Angius nell'opera citata, che discorrendo di Sestu afferma: "Si osservano in alcuni punti gli avanzi e le macerie dei nuraghi, e si conoscono i siti, che in altri tempi erano popolati, e che restarono deserti per varie cause e massime per le pestilenze". La penuria di materiale litico accennata ha fatto sì che anche questi monumenti siano andati completamente demoliti, privandoci di una importante documentazione per la ricostruzione della storia del nostro paese. Così non possiamo che ipotizzare la costruzione dei nuraghi a ridosso dei villaggi primitivi, e quindi di tipo complesso, per la difesa delle coltivazioni che si praticavano nella zona. Tuttavia quasi certamente qualche nuraghe doveva sorgere a San Gemiliano, dove sono stati rinvenuti resti di capanne di cultura nuragica, accompagnati da materiali del periodo, specialmente macinelli a mano, pestelli, percussori e teste di mazze forate, nonché vari frammenti di ceramiche.

 

Autore: Franco Secci - storico

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