I Villaggi Medioevali di Sestu

Come abbiamo notato in precedenza, già nel periodo romano Sestu era circondato da borgate, alcune delle quali di origine precedente l'occupazione romana della Sardegna, che stettero in piedi fino al XV-XVI secolo (l'Angius cita i seguenti villaggi).

Poco o nulla sappiamo della vita di queste borgate che sono decadute e scomparse quasi senza lasciare traccia della loro esistenza. Di qualcuna è rimasto il nome come toponimo al sito dove sorgeva. Questo decadimento e questa sparizione non dovrebbe recare meraviglia, considerato che gli unici edifici solidi di questi villaggi erano le chiese edificate in pietra, mentre le abitazioni erano costruite con materiali fragili. Guerre, pestilenze, siccità, carestie, malaria, sono le cause che hanno determinato l'abbandono di questi villaggi, disertati dai pochi abitanti superstiti perché non offrivano più la possibilità di sussistenza. Questi preferirono trasferirsi a Sestu, che offriva loro maggiori garanzie di vita. 

 

La scomparsa di questi villaggi fu accelerata dagli stessi abitanti che, nell'abbandonarli, asportarono dalle abitazioni tutto il materiale che poteva essere riutilizzato per le case da costruire nella nuova dimora. Così delle ville disertate non rimasero in piedi che le chiese, le quali, ad eccezione di quella di San Gemiliano, non pervennero a noi in quanto anch'esse subirono l'incuria e l'abbandono prima, i saccheggi poi, finendo per soccombere nella lotta contro i vandali, le intemperie ed il tempo. La chiesa di San Gemiliano riuscì a sfuggire a questa sorte perché gli abitanti del villaggio abbandonato continuarono il culto del Santo tornando ogni anno al luogo di origine per la ricorrenza della festa, acquisita al patrimonio dei Sestesi.

 

Nuracada

Nella località occupata un tempo da questo villaggio affiorano embrici dell'età romana, ma le poche notizie di cui disponiamo risalgono al XIII-XV secolo. Secondo lo Spano il significato del nome corrisponderebbe a luogo sterile (29). Nuracada, che nel basso medioevo contava all'incirca 100 abitanti, era ubicato tra Sestu e Serdiana; apparteneva alla curatoria ed alla diocesi di Dolia, fu infeudato dal sovrano aragonese a Tomaso e Raimondo Merquet, E'menzionato in diversi documenti, soprattutto del XIV secolo. Dalla statistica pisana del 1322 risulta che versava per tributi 18 lire e 19 soldi in denaro, 111 starelli di grano e 72 starelli di orzo. Nel 1544 risulta già disabitato.

 

Seurru

A Seurru, o Siurru come pure viene chiamato, affiorano sporadicamente dei resti di capanne che fanno pensare all'esistenza di un villaggio eneolitico, coevo a quello di San Gemiliano, da cui dista in linea d'aria, circa cinque chilometri. Intorno agli anni 1948/49 si rinvennero in questa località da un contadino intento a lavori di scasso per la posa a dimora di un vigneto, due vasetti di età preistorica. I vasetti nel 1950 furono donati al parroco di Sestu, don Paolo Mocci, in casa del quale si trovavano nel 1963, quando furono visti, descritti e disegnati dalla prof.ssa M. Luisa Ferrarese Ceruti dell'Istituto di antichità sarde dell'Università di Cagliari. Con tutta probabilità i vasetti facevano parte del corredo funerario di una o più tombe. Tipologicamente sono ascrivibili alla cultura di San Michele di Ozieri, come tanta parte del materiale vasario rinvenuto a San Gemiliano. Seurru, che deriva dalla corruzione del nome Santu Sadurru, cioè San Saturno a cui era dedicata una chiesa sul luogo, è uno dei villaggi che è riuscito a sopravvivere fino al XV secolo. Oltre ai resti del villaggio eneolitico sul luogo si trovano sparsi in superficie numerosi frammenti di embrici dell'età romana. Anche se le notizie su questo villaggio sono scarse, il suo nome compare in alcuni documenti del basso medioevo. Dall'inventario delle rendite della Mensa Arcivescovile di Cagliari, apprendiamo che un certo Turbini Matzeu possedeva una terra coltivata, confinante con terre di San Saturno. Nello stesso inventario vengono citate altre terre confinanti con la via pubblica di Siurro o col salto di Siurro. Il villaggio nel secolo XIV era di modestissime proporzioni; all'incirca comprendeva 40-50 abitanti , come si desume analizzando i dati della statistica pisana del 1322. Complessivamente ogni anno Seurru doveva versare a Pisa 40 lire e 16 soldi, così ripartiti: 

in denaro lire 8 soldi 2 

in grano: 82 starelli, pari a lire 24 soldi 6 

in orzo: 56 starelli pari a lire 8 soldi 16 

Non si hanno notizie dopo il 1365 di questo villaggio, che apparteneva alla curatoria del Campidano ed alla diocesi di Cagliari, come Sestu.

 

Sinnuri

Situato a Nord-Est dell'abitato di Sestu, vicino a Su Riu Sassu, nei documenti vengono registrate anche le seguenti varianti della denominazione di questo villaggio: Sennoru, Senuri, Zunuri. Scarse sono le notizie che ci sono pervenute su di esso. Nel 1270 l'Operaio dell'Opera di Santa Maria di Pisa, Ranieri Vallecchia, incaricava il suo rappresentante nel Cagliaritano, il pisano Gerardo, detto Guercio, di inventariare i beni appartenenti all'Opera nello stesso territorio. Nell'inventario, redatto il 17 ottobre 1270, risultano beni posseduti dall'Opera nella villa di Sinnuri. L'Opera possedeva a Sinnuri 3 servi e 3 serve integri e, in un gregge, 25 pecore matricine, 3 arieti, 10 agnelli, 7 agnelle, tenuti in consegna da Pietro Falla, abitante del luogo; in un altro gregge vi erano 21 pecore matricine, 9 agnelli, 6 agnelle, 2 buoi domiti, custoditi da Giovanni Pinti (Fadda). Un anno dopo, esattamente il 26 ottobre 1271, nella villa di Astia (curatoria del Sigerro) Pietro Soro, amministratore dell'Opera nel Cagliaritano, riceve da Profficato di Bandino de Vico altri beni. Da Sinnuri riceve 118 pecore matricine, 10 agnelle, 15 agnelli, 5 montoni, 3 buoi, 12 pelli (Fadda). 

Nel marzo dell'anno successivo venne redatto altro inventario su incarico affidato al pisano Ugolino Aliocti dall'Operaio Orlando Sardella. Questo inventario completa ed illustra il precedente. A Sinnnuri abitano i servi Arsoco Pinti con la moglie Vera Locci, Mancusa Donichi, Gomita Donichi, Pietro Falla ed il figlio Arsoco. L'Opera possiede il bestiame già citato, una casa ed una terra il località Saltus de Concha (Fadda). 

Il villaggio di Sinnuri apparteneva al Giudicato di Cagliari, nella Curatoria del Campidano, situato ai confini con la Curatoria di Dolia o Bonavolia (Part' 'e Olla), tanto che nell'inventario dei beni del Priorato di San Saturnino di Cagliari, dipendente dall'abbazia di San Vittore di Marsiglia, risalente al 1338 (Baratier) è stato inserito in quest'ultima curatoria. Nel territorio di Sinnuri vi era un terreno appartenente ai Vittorini e concesso a Johannes Serrato de Secussino, che pagava, ogni anno, 30 soldi per la coltivazione. Ma la certezza che Sinnuri apparteneva alla Curatoria del Campidano l'abbiamo dal testo della descrizione pisano-aragonese pubblicata da Prospero de Bofarull y Mascara a Barcellona nel 1856 (vedi bibliografia), che comprende la descrizione di tutte le ville, luoghi e castelli posti in Sardegna, nel 1358, sotto il dominio del re d'Aragona. Tale descrizione rappresenta in gran parte la traduzione catalana di un manoscritto esistente nell'archivio del castello di Cagliari, il quale conteneva una descrizione (componiment) pisana ( e precisamente si trattava di un VI componiment), compiuta per il Comune di Pisa, dove si dichiaravano le rendite pubbliche delle ville sarde, in denaro, frumento ed orzo. Risulta che la descrizione pisana era posteriore al 1320 ma anteriore al 21 febbraio 1322.La villa di Sinnuri, infeudata a Berengaio Carroz al pari di Sestu, era tenuta a versare, ogni anno, 2 lire e 18 soldi in denaro, trenta starelli di grano e ventiquattro d'orzo. Da ciò si desume che la consistenza del villaggio era assai modesta, considerato che Sestu pagava, come abbiamo visto, molto di più. Vittorio Angius chiama questo villaggio Zunuri; infatti, parlando di Sestu (Diz.) e soprattutto delle sue antichità dice: "Si osservano in alcuni punti gli avanzi e le macerie di nuraghi, e si riconoscono i siti, che in altri tempi erano popolati, e che restarono deserti per varie cause e massime per le pestilenze. Nel P. Aleo trovansi notate nel territorio di Sestu quattro antichi casali cioè Sestu pittiu (Sestu minore), Balaridi o Baradili, Zunuri e Susua. La fonte a cui attinge l'Angius è un manoscritto del tardo seicento, ad opera del frate cappuccino Giorgio Aleo, conservato nella Biblioteca Universitaria di Cagliari. 

Sinnuri viene citato anche nei seguenti documenti: Componiment nou, dell'Archivio della Corona d'aragona - Real Patrimonio - Registro 2065, risalente al 1335 e comprendente una lista di ville passibili di tassazione; Libres de rebudes de la sal venuda en gros e a manut, sempre dell'Archivio predetto, Registro 2190, risalente al 1347/48 e riguardante il commercio del sale a Cagliari.

 

Sussua

Il villaggio di Sussua, o Susua come compare in alcuni documenti, era ubicato nella zona di San Gemiliano, quindi sarebbe la diretta continuazione del villaggio prenuragico che abbiamo già visto. Circondato nel medioevo dagli abitati di Baratili (o Monte Olladiri, Monastir, sibiola e Nuracada, come quest'ultimo, apparteneva alla curatori di Dolia, ma ecclesiasticamente dipendeva dalla diocesi cagliaritana. Sussua è citato in diversi documenti dei secoli XIV-XV tra i quali il Componiment Nou del 1335, conservato a Barcellona, che contiene una lista di villaggi con possibilità di essere tassati. 

Nel registro delle rendite ecclesiastiche del 1341/42 risulta che Simone, rettore della chiesa di Susua, pagava per le decime lire tre, soldi dodici e denari sei; la stessa somma si pagò nel 1343, sotto il pontificato di papa Clemente VI; anche negli anni dal 1346 al 1350 sempre il rettore Simone continuò a pagare somme varie per le decime. Nel 1322 Sussua, che contava dai 150 ai 200 abitanti, versava a Pisa i seguenti tributi: 

in denaro lire 33 

grano starelli 66 

orzo starelli 66 

datio lire 26 soldi 11 

vigne lire 7 

Nel 1329 risulta infeudato a Berardo Carbonell, cittadino di Barcellona ma abitante a Maiorca, dedito al commercio, il quale fece debiti per millecinquecento lire e tredici soldi, impegnando i suoi beni ed in particolare la villa di Sussua. Il 20 giugno di questo stesso anno il sovrano d'Aragona, Alfonso IV, ordina a Berardo Boixadors, governatore generale di Sardegna, di vendere il villaggio per risarcire i creditori del Carbonell, che sono Berardo de Cacano, Arnaldo Moragues e Berengario de Puig. Il Carbonell dovette affrettarsi a risarcire i suoi creditori se nel 1332 era ancora in possesso del villaggio. Infatti, il 5 settembre del medesimo anno, da Valenza, Alfonso IV si occupava del Carbonell ordinando a Raimondo de Cardona, nuovo governatore generale dell'Isola, di convocare presso di sé il mercante e Arnaldo Cassà per metterli d'accordo circa i proventi della villa di Sussua, della qual il Carbonell risultava ancora proprietario ed il Cassà il procuratore, a causa delle assenze prolungate dalla Sardegna del primo per attendere ai suoi commerci, Cenni di Sussua si hanno anche nei conti del sale del 1347/48, 1362/63, 1389/93 e nell'inventario dei beni della Mensa Arcivescovile di Cagliari del 1365. Nel 1490 risulta disabitato. 

 

Autore: Franco Secci - Storico

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